Il primo incontro organizzato nella collaborazione tra Magma e Irta Leonardo, per la serie degli Incontri d’autunno, ha portato a Follonica il sociologo e scrittore Vincenzo Moretti, impegnato in tutta il Belpaese nel far viaggiare i temi dell’utilizzo consapevole delle nuove tecnologie. Al Magma Vincenzo Moretti ha presentato “Il coltello e la rete” (Ediesse, Ottobre 2015) titolo del libro scritto in collaborazione con Nicola Cotugno, Maria D’Ambrosio, Colomba Punzo, Alessio Strazzullo e Mariateresa Turtoro. La presentazione del libro è servita anche a parlare del vero e proprio progetto de “Il coltello e la rete” che continua a viaggiare nelle scuole, nelle università e nelle associazioni con l’idea di stimolare il dibattito e l’azione per fare in modo di imparare ad utilizzare le nuove tecnologie in modo creativo e condiviso. Vincenzo Moretti proprio per questo motivo ha fatto anche una importante tappa nelle scuole di Follonica, dove ha parlato a una numerosa platea di studenti. Abbiamo fatto delle domande a Vincenzo Moretti per comprendere meglio cosa si intende con utilizzo consapevole della tecnologia.
Le nuove tecnologie offrono possibilità nei metodi di partecipazione e condivisione. Quali sono le potenzialità dello strumento delle nuove tecnologie e i rischi? Come è possibile, facendo riferimento anche alle peculiarità dell’esperienze del progetto de “Il coltello e la rete”, valorizzare l’inclusione, la consapevolezza e la condivisione di un’azione con le nuove tecnologie?
Il mio punto di partenza è molto semplice: le tecnologie non sono né buone né cattive, né intelligenti né stupide, sono «soltanto» tecnologie, arnesi che abbiamo a disposizione per lavorare, giocare, interagire, abitare, cambiare il mondo nel quale ci è capitato di vivere. Vale per il martello, che se lo batti sul chiodo funziona e se lo batti sul dito invece no; vale per il coltello, che ci puoi tagliare il pane o far male a una persona fino ad ucciderla; vale per il computer, lo smartphone o il tablet. A fare la differenza non è il «mezzo», ma la maniera in cui lo usi, alla fine nessuno si sognerebbe di dare la colpa al martello se si dà una martellata sulle dita, perché si dovrebbe dare la colpa allo smartphone se si passano giornate intere con gli occhi e le dita su tastiera e display?
Insomma non è il telefonino che ti arruola negli eserciti della «lookdown generation», è il modo in cui tu lo usi, e questo ci riporta alla questione «consapevolezza» che è fondamentale nell’uso di qualunque tecnologia e che lo è in modo particolare – date le loro caratteristiche – per le tecnologie al tempo di internet.
Se la questione la si affronta in questo modo è evidente – a mio avviso – che il concetto di «rischio» è di per sé inadeguato per definire la fase attuale, nel senso che va necessariamente connesso alla «consapevolezza». Se si potesse riassumere con un concetto mutuato dalla matematica direi che esiste una relazione inversamente proporzionale tra C (consapevolezza) e R (Rischio) nel senso che più aumenta la consapevolezza più diminuisce il rischio, fino a un valore prossimo allo zero.
È questione di tempo, poco tempo, e i frigoriferi, le cucine, i mobili della nostra casa potranno comunicare attraverso dei sensori tra loro e via internet, e lo stesso sarà per le nostre e nelle nostre città, se affrontiamo tutto questo con l’idea del rischio ci condanniamo all’esclusione, non è materialmente possibile.
La verità secondo me me è che ritorna decisiva la questione educazione. L’uso civico delle tecnologie è una delle nuove «materie» che deve necessariamente entrare a far parte delle nostre vite, a partire dai più piccoli e dai più giovani.
Uno dei rischi che si fronteggiano nell’utilizzo dei nuovi strumenti di comunicazione, è nella creazione di un “effetto eco”, ovvero non utilizzarli come strumento di apertura e condivisione, ma come uno specchio che riflette solo quello che è simile a noi, vanificando la portata dell’inclusione, dell’allargamento delle prospettive di riflessione e quindi di azione. Come sociologo, come ideatore di un progetto di consapevolezza che radica virtuale e reale, quali possono essere secondo lei le chiavi per potenziare questo accesso? Per ribaltare “lo specchio”?
Ecco un altro tema molto interessante, che diventa ancora più decisivo quando si connette al «confirmation bias», in pratica la tendenza a rimanere legati all’idea che ci si è fatti sulla base di informazioni preliminari anche quando le evidenze successive la contraddicono. Spero di non deludervi, ma anche qui la mia parola chiave è educazione, in questo caso educazione alla diversità, alla pluralità, al pensiero divergente. La bellezza della molteplicità, in tutti gli aspetti della vita, è un altro aspetto centrale della questione. A me piace dire che non bisogna mai perdere il «difetto» di pensare (il riferimento è naturalmente alla bellissima poesia di Brecht, Generale), non bisogna rinunciare ad avere un proprio autonomo punto di vista sulle cose, non bisogna risparmiarsi la fatica di confrontare il proprio punto di vista con quello degli altri. Tu chiamala se vuoi cultura, modi di essere e di fare, è tutta roba che si impara, alla quale ci si abitua, della quale si scopre la bellezza, solo così – per me – possiamo ribaltare lo specchio.
Potrebbe raccontarci dell’intervento che ha portato nelle scuole di Follonica sul tema delle tecnologie e della consapevolezza?
Le cose che ho provato a raccontare ai ragazzi di Follonica sono quelle che vi ho raccontato fin qui, io lo faccio in tutta Italia, dalla prima elementare all’università, e senza falsa modestia penso di poter dire che questa specifica caratteristica – avere un solo approccio metodologico per qualunque tipo di classe e di età con contenuti naturalmente a seconda dei casi diversi – rende il progetto A scuola di lavoro ben fatto, di tecnologia e di consapevolezza un esempio unico nel suo genere. Devo dire che mi piacerebbe molto poter dare un carattere più continuativo a questo rapporto con Follonica, per le tante energie, competenze, esperienze che avete, a partire dal Magma.